CREAZIONI
L'ultima notte del Rai's - di Yasmina Khadra
Yasmina Khadra ci porta nel cuore dell’ultima giornata vissuta da Muhammar Gheddafi, “Il fratello Guida”. Si tratta di ore difficili, disperate. È l’ultimo viaggio di un uomo solo, di un’anima corrotta, perduta nel labirinto del potere. È questa una moderna tragedia, la tragedia di un uomo che, pagina dopo pagina, ci mostra i suoi traumi infantili, la sua sensibilità, la sua umanità, la sua fragilità, le sue paure e le sue ansie per poi sorprenderci d’improvviso con le sue perversioni, la sua sete di potere, il suo irrimediabile desiderio di autocelebrazione. Proprio nella fede incrollabile in se stesso e nella convinzione di essere l’eletto, il primo, protetto da Dio, Gheddafi, sino agli ultimi istanti, si sentì intoccabile e attese un miracolo. Credeva di essere lui il rivoluzionario, pensava che nessuno lo avrebbe mai tradito. Nemmeno il suo popolo.
L’uomo di oggi si interroga su questioni fondamentali: esisterà un futuro per la vita umana oppure davanti a noi vi è solo una prospettiva catastrofica? Che ruolo giocheranno la scienza e la tecnologia in questa catastrofe, oggi viste esclusivamente come luce del futuro? Quale tributo si pagherà al progresso? La perdita della memoria e dell’identità? La degradazione dei valori e la trasformazione inesorabile in consumatori/consumati?
Come si ripropone oggi, in tempi così difficili di intolleranza, razzismo e fondamentalismo, il tema del rapporto fra l’umano e divino? Prometeo è l’eroe del confine, della mediazione fra questi due mondi, così diversi. Terribile cosa è l’uomo. Ancor più terribile il mondo degli dei.
"Jekyll" di Fabrizio Sinisi da Stevenson
Henry Jekyll è un ricco filantropo, un ex-teologo divenuto magnate della finanza grazie alle sue eccezionali doti di speculatore finanziario, guida di un’importante fondazione benefica per il sostegno e la cura dei malati mentali. Intellettuale ascetico, severo e controllato, dotato di ferreo raziocinio e specchiata moralità, Jekyll coltiva, fin dall’inizio del suo progetto, un sogno: la costruzione di una cittadella dell’umanesimo dove poter fornire istruzione, cura e assistenza gratuita per i poveri. Tuttavia, una serie di brutali omicidi, compiuti da un misterioso psicopatico chiamato Mr. Hyde, ostacola sistematicamente il buon esito dell’operazione. Ispirandosi al celebre romanzo di Robert Louis Stevenson, il giovane drammaturgo Fabrizio Sinisi, tra gli autori più interessanti del panorama teatrale odierno, reinventa uno tra i più importanti miti della modernità, facendone un dramma filosofico e finanziario, metafora di un presente straniato e bifronte, incapace di vedere il proprio vero volto. Nella lettura registica di Daniele Salvo il testo di Sinisi diviene uno spettacolo dalle tinte visionarie, una seduta drammatica, perturbante ed avvincente sull'illusione dell'identità, una parabola contemporanea sospesa tra allucinazione, sogno e realtà.
GIULIO CESARE di William Shakespeare
Alla domanda: “Il fascismo sta tornando?” oggi si può forse rispondere con un’altra domanda: “E se in realtà non se ne fosse mai andato?”. Nel nostro Paese, i segni di un ritorno del fascismo sono numerosi e non sono solo di oggi, anzi sono rintracciabili lungo il corso di almeno gli ultimi trent’anni. Il prevalere delle destre sulla scena politica nazionale ed internazionale, la rivalutazione dei nazionalismi, dei confini, dei protezionismi, l’insorgenza sulla scena politica e sociale dei “nuovi fascisti del terzo millennio”, l’avvento del razzismo dilagante verso lo straniero e il diverso, la diffusione di un sentimento di rancore che si manifesta nella sfrenata caccia al capro espiatorio, fanno purtroppo pensare a questo. Le Furie non si sono mai placate, hanno solo finto un pentimento, non sono state neutralizzate dalla società civile, in realtà non sono mai state trasformate in Eumenidi da Atena. Restano invece sepolte alle radici della nostra società, inquinano le falde più profonde della società civile, ammorbano i sentimenti e i valori più puri. Le Furie, oggi, travestite da divinità protettrici, occupano i Palazzi del Potere, dispongono delle vite di ogni cittadino, inscenano teatrini di falsa politica, orientano consensi e dissensi con i loro volti televisivi ammiccanti e tranquillizzanti.
“Mare nero”non è uno spettacolo ordinario. In questo lavoro non ci sono “personaggi”, non ci sono “invenzioni teatrali”, non si “rappresenta” nulla. Si tratta invece di una testimonianza, di una realtà fatta di carne e sangue, di volti, di storie, di sguardi, di persone. Ogni giorno ascoltiamo notizie di naufragi davanti alle coste della Libia o davanti alle nostre coste, vicino a Lampedusa, stupiti, increduli, ma ormai irrimediabilmente assuefatti, anestetizzati di fronte agli schermi televisivi dei nostri salotti. Uomini, donne, bambini, abbandonati a se stessi, salvati o lasciati a morire nelle acque del Mediterraneo. Questi eventi tragici vengono quotidianamente trasformati in partite politiche, esibiti e strumentalizzati da questo o quell’imbonitore di turno. Sono notizie da due minuti, ma danno fastidio, “disturbano” i pranzi e le cene degli italiani, insinuano un dubbio nella moralità della civile Europa. In “Mare nero” si affronta un “viaggio della speranza”, su una “carretta del mare”: un gruppo di uomini, donne e bambini africani, investe gli ultimi risparmi e li affida nelle mani di altri disperati senza scrupoli che li caricano su una barca totalmente inadeguata, verso il sogno di una nuova vita. Un sogno pagato a caro prezzo.
"Le ultime lune" di Furio Bordon
Nel nostro tempo, improntato all’egoismo più sfrenato, all’efficienza ad ogni costo, alla ricchezza, alla velocità, al tutto e subito, la vecchiaia è una vergogna da cancellare. Si insegue freneticamente la giovinezza combattendo i segni del tempo, nell’illusione di annullare la morte. Essere vecchi significa essere esclusi: ormai altri giovani cantano altre canzoni e il vecchio è troppo lento, troppo stanco, troppo solo, in una parola, inutile. “E invece – puntualizza il regista Daniele Salvo – la vecchiaia al contrario è un privilegio, un momento della vita in cui tutte le linee convergono verso un punto sospeso sul filo dell’orizzonte. È la somma di tutti gli addendi, il termine di un progetto, l’inizio di un nuovo cammino. Coincide con la condizione del poeta, che dà scandalo, non serve, dà fastidio: troppo ingenuo, fragile, vero. E soprattutto, come il vecchio, il poeta sa dire la verità. Il poeta attende paziente, seduto su una panchina sul ciglio del torrente del tempo e guarda… Il poeta, come il vecchio, possiede la mappa del labirinto, crea un modello infantile dell’universo, . Il poeta canta con la sua voce sempre più flebile, ride tra i denti, ma mi accordo che piange. È solo un uomo, o forse un vecchio. Ma il suo pianto conduce al futuro”.
"Mimì - In arte Mia Martini"
Riportare in vita un mito è una missione difficile, ma è questo il compito ambizioso che Melania Giglio si propone e lo fa in modo speciale, quasi mistico, richiamando in terra uno spirito tormentato come quello di Mia Martini, donna sofisticata e intensa nell’animo e nella voce. Insieme a Melania Giglio, straordinaria interprete dalla voce penetrante, recitano Mamo Adonà, raro esempio di come una voce femminile possa risiedere in un corpo maschile e Sebastian Gimelli Morosini, ambigua voce dalla presenza androgina, protagonisti di uno spettacolo con canzoni interpretate rigorosamente dal vivo. Diretti da Daniele Salvo.
"Dopo la prova" di Ingmar Bergman
In un tempo sospeso, nella penombra di un vecchio palcoscenico, Henrik Vogler, grande regista e direttore di teatro, è seduto su una poltrona, immobile. Appare quasi imbalsamato. Ha 109 anni o forse solo sessantadue. La scena è ingombra di attrezzature sceniche, quinte, attrezzeria, rimasti dopo una prova pomeridiana de Il sogno di Strindberg. Ora però il regista è rimasto solo. L’edificio è completamente deserto. Il sipario è alzato sino a metà. D’improvviso appare sulla scena Anna Egerman, giovane attrice interprete della Figlia di Indra nella pièce diretta da Vogler. Da questo momento inizia un confronto serrato tra i due che, sospesi in una zona di confine, si permettono finalmente di dire la verità.
Tra il 1940 e il 1945 alcuni uomini sparirono improvvisamente nel gorgo della Storia. Erano uomini comuni, di razze, lingue, provenienze diverse. Uomini che da un giorno all’altro, senza alcuna avvertenza, vennero gettati violentemente nella realtà allucinante di Auschwitz, Birkenau, Mauthausen, Buchenwald e di molti altri Lager nazisti, nel cuore di quella che oggi è la
moderna Europa. Di loro non restò nulla, di molti non si seppe più nulla. Cosa significa oggi, 70 anni dopo, affrontare ancora una volta lo sterminio nazista ed interrogarsi sui motivi e sulle ragioni storiche che portarono l’umanità al periodo più buio della sua storia?Quegli uomini morirono per noi, per assicurarci un futuro possibile, una speranza di civiltà. Noi oggi, frivoli abitatori del nostro tempo, noi, convinti che la LIBERTA’ sia qualcosa di certo o scontato, abbiamo una immensa responsabilità, dobbiamo assolutamente mantenere una promessa scritta con il sacrificio e il sangue. Con la distanza del tempo non dobbiamo, non possiamo dimenticare e ci permettiamo di entrare nella stanza di Levi, in punta di piedi e con estrema attenzione e profondo rispetto, tentando di restituire alle sue memorie l’inaudita umanità e la straordinaria forza della sua voce perduta. Voce sincera e potente che ci porta direttamente ed inavvertitamente nel cuore del Novecento, al centro del petto di chi è stato offeso ed umiliato.
Il mondo di Pirandello è un universo complesso fatto di linguaggi, visioni, sogni, miraggi, allucinazioni.
Nel suo universo il mondo dei vivi e il mondo dei morti si toccano, si sovrappongono, senza alcuna avvertenza.
Questi personaggi in cerca d’autore, figure evanescenti, diafane, sospese sul filo, ripetono all’infinito, ossessivamente, le proprie brevi ed insignificanti esistenze. Sono funzioni linguistiche, spettri teatrali, vite fittizie.
Il Vecchio e il Mare
Santiago è forse uno degli ultimi uomini che vaneggiano ancora di poesia, rispetto, umiltà e umanità. È un grande uomo, rifugiato nel sogno, sul filo del mare, nella luce abbagliante riflessa sull’acqua, mentre la morte è già sulle sue tracce. Ciò che più mi interessa affermare, attraverso la messinscena di quest’opera, è la necessità vitale dell’essere poeti. Questo viaggiatore dell’oceano infinito, sospeso sul filo del Tempo, si misura con ogni possibile realtà. Santiago è l’ultimo sognatore.
"Edith Piaf - Le petite rossignol ne chante plus"
Dichiaro Guerra al Tempo
Due donne giacciono sprofondate negli abissi del tempo. Una in epoca elisabettiana, l’altra in epoca moderna.
Abitano la stessa stanza. Non si vedono, non si parlano direttamente, ma sicuramente si percepiscono. La stanza è la stanza della memoria. Ovunque, manoscritti, versi, perpetue parole, spartiti musicali. I versi appartengono a William Shakespeare.
Nel frenetico vivere odierno noi affidiamo gli ultimi scampoli di irrazionalità e presenza fisica ai momenti dell'eros, della malattia, del sonno. Le Baccanti, invece, agiscono in stato di automatismo mentale, di sonno perenne, sono in qualche modo "agite" dal Dio, Dioniso opera attraverso di loro, attraverso i loro corpi e le loro voci, li trasforma e ne fa strumento di ebbrezza, sensualità, stordimento, morte, dolcezza infinita, ambiguità demoniaca.
Il funambolo è' uno dei testi più belli di Jean Genet, uno dei suoi più sfavillanti, dove mette allo scoperto la sua estetica ma anche la sua erotica. Si tratta di un grande inno alla Morte, compagna ma anche madre del funambolo:
«La Morte - la Morte di cui ti parlo - non è quella che seguirà la tua caduta, ma quella che precede la tua apparizione sul filo. E' prima di scalarlo che muori. Colui che danzerà sarà morto - deciso a tutte le bellezze, capace di tutte». Il funambolo gioca sul filo dell'orizzonte, gioca la sua e la nostra vita per misurarsi con se stesso e con i limiti di tutti noi.
Ci sono valori perduti, sguardi dimenticati, parole che non torneranno più: spirito, dedizione, attenzione, dolcezza, lentezza, pazienza, rispetto, lealtà, fedeltà. Pier Paolo Pasolini con "Pilade" parla con forza alle nostre coscienze, scuote i nostri pensieri borghesi dal fondo, le nostre fatue sicurezze, tenta con la sua disperata vitalità di farci comprendere il significato della parola "amicizia", tenta di svelare ai nostri occhi i perversi meccanismi che regolano il potere e lo fa con una meravigliosa lucidità e un nitore assoluto, oggi impensabili.
In occasione del quarantennale del brutale assassinio di Pier Paolo Pasolini, il Teatro Vascello in collaborazione con Fahrenheit 451 Teatro ripropone sulle scene la bellissima intervista che il Poeta rilasciò a Furio Colombo la sera prima della sua morte. Un documento estremo e profetico, una confessione più che un’intervista. Un grido d’allarme lucido e disperato sull’inevitabile declino della nostra civiltà,che alla luce degli avvenimenti odierni suona straordinariamente profetico.
‘Coefore-Eumenidi’, due tragedie della trilogia ‘Orestea’ di Eschilo, messo in scena da Daniele Salvo, da molti considerato uno dei migliori registi teatrali italiani, nell’anfiteatro Makarios III di Nicosia. Lo spettacolo – presentato a Cipro dopo i successi riscossi a maggio al Teatro Greco di Siracusa e a giugno a Pompei nel quadro del centenario dell’Istituto nazionale del dramma antico (Inda).
"Per non distrarre lo spettatore dal lavoro sull’interiorità di questi straordinari personaggi, ho pensato di sottrarre quanto più possibile elementi decorativi, effetti e trovate registiche per giungere ad un’essenzialità e nitidezza interpretativa quanto mai necessaria, a mio avviso, alla messinscena di questo testo." Daniele Salvo.
L'inesorabile onnipotenza del Fato, la forza devastante della verità, la precarietà della condizione umana. La Tragedia greca, insomma. O quella "summa" scritta da Sofocle, l'"Edipo Re", che ieri è tornata a far vibrare la platea del teatro antico di Siracusa.
"È una riflessione sulla natura dell'uomo. Non spetta a noi dare una lettura politica di parte, ma lo spettatore potrà riflettere su un tema che fa parte della coscienza collettiva e della storia di una nazione. Ci sono riferimenti a Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, i due attori passati dai fasti di Cinecittà al plotone d'esecuzione, però il testo va più in là, è molto più complesso nelle sue implicazioni" Daniele Salvo
“La tempesta” nasce in un momento molto difficile: un momento in cui tutto si confonde e degrada in una spaventosa superficialità, in un deserto umano assoluto. L’uomo di oggi è confuso, disorientato, frastornato da persuasori occulti, anaffettivo, comprato da una società che lo ha divorato, digerito, trasformato in cieco consumatore e prodotto di mercato. A capo chino bruchiamo la porzione d’erba a noi assegnata e dai nostri occhi, gli occhi di un popolo antico, non trabocca più la Poesia, la Cultura, la forza del pensiero, la febbre dell’Arte. La nave affonda.